Kant aveva ragione: la bellezza si percepisce con la testa
Una serie di test organizzati tramite app e Internet sembrano dare ragione alle teorie filosofiche di Immanuel Kant, secondo le quali la bellezza si percepisce a livello razionale, mentre il piacere no. Il filosofo, nel 1764, aveva postulato che “l’esperienza della bellezza è razionale”, mentre quella legata al piacere dei sensi “non può essere definita bella”.
Per confermare tali teorie, è stato chiesto a 62 persone di indicare, tramite un’app, il piacere e la bellezza che hanno provato in seguito a una serie di esperienze: toccare un orsacchiotto, visualizzare immagini su Internet, assaggiare e gustare una caramella. In un altro esperimento, è stato fatto ripetere lo stesso test ai volontari, mentre però questi erano distratti da un altro compito.
I risultati del test hanno mostrato abbastanza chiaramente che la percezione della bellezza viene annullata se la persona si trova, per qualche motivo, a essere distratta. La distrazione annulla la percezione della bellezza, e una cosa che in precedenza era considerata bella, dopo non lo è più. La distrazione, invece, non ha avuto effetto sulle immagini che in precedenza erano considerate già non-belle, o neutre.
L’esperimento, condotto da Denis Pelli e Aenne Brielmann, dell’università di New York, mostra che “l’esperienza della bellezza è una forma di piacere“: ma, per percepire la bellezza, dobbiamo pensare, ossia compiere un atto razionale, “di testa”.
A sorpresa, invece, i ricercatori hanno scoperto che alla bellezza può essere anche associata una sensazione di piacere, un’esperienza piacevole, cioè, legata ai sensi. Un terzo dei volontari, infatti, ha affermato di aver provato piacere nel toccare l’orsacchiotto o nel mangiare la caramella: l’esperienza è stata definita “bella”, ossia associata anch’essa, in qualche modo, alla bellezza. Questo sembra smentire parte delle affermazioni di Kant, secondo le quali la bellezza non può essere legata ai sensi.
La scoperta potrebbe avere dei risvolti pratici interessanti. Ad esempio, se si vuole che le persone, nei musei, apprezzino la bellezza dell’arte, “non bisogna distrarle”, suggerisce Brielmann.