Curiosità

Eterocefali glabri: sopravvivono in assenza di ossigeno, diventando piante

Gli eterocefali glabri, anche detti “talpe senza pelo”, sono animaletti simili ai topi, particolarmente longevi, che da un po’ di tempo hanno catturato l’attenzione dei biologi per la loro refrattarietà al cancro, e per l’insensibilità al dolore.

Recente è la scoperta che essi riescono a sopravvivere anche in assenza completa di ossigeno, nutrendosi di fruttosio come i vegetali; la scoperta è di particolare interesse perché potrebbe aiutare a sviluppare trattamenti e farmaci per proteggere le cellule cerebrali, in caso di infarto o ictus.

Le talpe senza pelo sono dei sorprendenti roditori la cui struttura sociale è veramente insolita per dei mammiferi: essi, infatti, vivono in colonie, simili a quelle delle api e delle formiche; le colonie sono formate da 70-80 individui, che vivono a 15-50 cm di profondità, in un complesso sistema di gallerie.

Così come avviene per le formiche, le api e le termiti, ogni colonia ha una propria regina, che quando muore viene rimpiazzata con un’altra regina, a volte dopo un’aspra lotta tra le altre aspiranti: questo comportamento, tipico degli insetti sociali, ha portato alcuni biologi ad associare ad essi questi strani animali.

Lo studio: sopravvivere come le piante

Secondo lo studio “Fructose-driven glycolysis supports anoxia resistance in the naked mole-rat”, condotto da Thomas Park, dell’università dell’Illinois a Chicago, gli eterocefali glabri possono sopravvivere più di 18 minuti in assenza di ossigeno: quando l’ossigeno viene a mancare, le “talpe nude” possono attivare una sorta di sistema di emergenza, metabolizzando il fruttosio come le piante fanno col glucosio.

Si tratta di un'”abilità” cruciale per la sopravvivenza di questo tipo di roditori, che vivono in gallerie sotterranee entro le quali il ricambio d’aria, e quindi l’ossigeno, è scarso.

L’animale può resistere in questo stato anche cinque ore, per poi tornare rapidamente alla sua condizione normale appena la concentrazione di ossigeno aumenta, senza subire alcun danno neurologico. Capire come ci riescono potrebbe portare a “trattamenti per i pazienti affetti da crisi di privazione di ossigeno, come negli attacchi di cuore e di ictus“, sottolineano i ricercatori.

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